“L’AVARO” di Molière @TEATRO PARIOLI di Roma
[:it]Adattamento e regia di Ugo Chiti, con Alessandro Benvenuti, Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci, Paolo Ciotti, Gabriele Giaffreda, Elisa Proietti.
Ricerca e realizzazione costumi di Giuliana Colzi, luci di Marco Messeri, musiche di Vanni Cassori, aiuto regia di Chiara Grazzini.
La scena è semplice. Con tanti moduli sparsi un po’ dappertutto, che offrono tante possibilità creative che vedremo in seguito. Pochi e strani ornamenti, asimmetrici, come ad un richiamo all’impatto visivo che “qualcosa non quadra”. Scura, perfettamente atta a divenire lo sfondo neutro per la trama che vi si avvicenderà. Attraversa il boccascena un laccio rosso, legato in mezzo, che divide il palco dalla platea, dinnanzi al quale si presenta l’inizio della storia.
E il prologo è frizzante, spavaldo e libero da stilismi: uscendo dalla drammaturgia classica del testo l’adattamento dello stesso regista (UGO CHITI), ci presenta un Arpagone (ALESSANDRO BENVENUTI) che mette subito i punti in chiaro su quale sia la situazione che ci si presenterà e quello che andremo a vedere. E lo fa con una rivisitazione del carattere del suo personaggio che è un’anticipazione di tutto il calibro della regia: la capace recitazione di Benvenuti dona un’aritmica asimmetria al personaggio che lo stacca dai classicismi e lo rende fresco, vivo, moderno e soprattutto reale anche quando il testo lo porterebbe sopra le righe, asciutto quando lo trasformerebbe in logorroico, sorprendente anche nei piccoli dettagli. Equilibrismi di cui Benvenuti è sempre stato dotato e che qui ne fa largo e sapiente uso. Il prologo si trasforma così in uno sfizioso antipasto che ci prepara ad un ricco piatto di due atti.
Da apprezzare in maniera lodevole sono anche gli attori che lo circondano.
Tornando infatti all’ordine canonico delle scene ci si apre la prima, che racconta di un Valerio (GABRIELE GIAFFREDA) dolce, pieno di amore e positivismo, ma che sa anche celarsi all’occorrenza, trasformarsi in un servile, viscido, cinico consigliere di Arpagone. Ed è appassionato della sua bella Elisa (LUCIA SOCCI), perfettamente calibrata nella sua tristezza di un amore che vede dapprima impossibile, ma che poi la conquisterà, decidendo di librarsi totalmente in esso. Come una riva dapprima arida che accoglie l’abbraccio di onde ristoratrici.
Cleante (ANDREA COSTAGLI) è la rappresentazione più viva della solarità: una cicala innamorata della vita che non manca mai di stupirsi della sua bellezza e delle sue sorprese, ma anche triste e poi caparbiamente reattivo alle avversità. E totale è il suo amore per la dolcissima Marianna (ELISA PROIETTI) che sa anche essere decisa, pronta a tutto per coronare il suo sogno d’amore con Cleante, passando dallo smarrito al determinato, sfruttando appieno tutta la gamma dei sentimenti intermedi.
I due servitori della casa di Argante, Mastro Giacomo (DIMITRI FROSALI) e Freccia (MASSIMO SALVIANTI, anche nel ruolo del rocambolesco Commissario) sono perfettamente agli antipodi. Il primo un fedele domestico tutto fare che negli anni serve il suo padrone con devozione, sacrificio e dedizione, il secondo un furbo manigoldo che con il suo calcolo si diverte a giocare con gli abitanti della casa per il suo tornaconto personale: due estremi che ci offrono un ottimo equilibrio nelle scene e numerosi siparietti che ci divertono non poco.
Frosina (GIULIANA COLZI) sa essere la spina nel fianco che però serve e la sua saggezza femminile (“basta far succhiare l’uomo dal giusto capezzolo”) e furbizia nel presentare la futura sposa sono ben rese. Contribuisce anche insieme a Freccia, svelando altari del loro passato che danno ancora più forza ai loro caratteri, a donare forza e spessore ad entrambi i personaggi.
Ultimo ma non ultimo Don Anselmo (PAOLO CIOTTI, anche nel comico ruolo di Mastro Simone) che con poche e giuste battute riesce a commuoverci nel ruolo di un padre che ha ritrovato felicemente moglie, figlia e figlio nello stesso giorno, regalandoci appieno quel desiderato lieto fine raggiunto con non poche sofferenze di vita.
I costumi di GIULIANA COLZI sono un perfetto ritratto dei personaggi attraverso i loro dettagli e colori: i tessuti ruvidi e scuri rappresentano l’autorità dell’austero, quelli lisci e chiari il candore dell’amore e della gioia. I colori più forti, vicino a terra e sangue, sono dedicati alle figure più popolane. I nobili vivono tra luce e oscurità, il popolo nel mezzo.
Le musiche di VANNI CASSORI ci regalano una giusta compagnia in ogni momento dello spettacolo: ci riportano alla mente ricordi dei salotti di allora, vecchi carillon e dolcevita, marzialità dove serve, ouverture e finali dedicati.
Le luci di MARCO MESSERI seguono trama e personaggi con il giusto fil rouge, regalandoci quei giusti gradi di ansia e costrizione che poi cederanno il posto all’aria aperta, alla rivelazione.
Lo spettacolo è una degnissima rivisitazione di Molière. L’adattamento e la regia di UGO CHITI permettano agli attori di muoversi senza stilismi, moderni ma con quel giusto richiamo al passato. Elogiabile il ritmo sia a tratti incalzante, sia intimo, allegro, tragico. I rapporti tra i personaggi son ben chiari e definiti. Le scene degli equivoci sono dirette come piccoli orologi.
Scene come quella del prologo o quella della fine del primo atto, che usa l’espediente della fuga di Arpagone dalla parte del sipario, trasformano il teatro in una scatola magica dentro la quale ci ritroviamo tutti.
La dimensione attraversata nel finale ha dell’affascinante: ogni altro personaggio è uscito di scena nella sua risoluzione e noi rimaniamo soli con Arpagone e i suoi denari. Ai quali confessa ancora e sempre il suo amore incondizionato, viscerale, completandosi con esso, sentendosi anche lui realizzato. Per poi accorgersi poco dopo che è tutta solo un’illusione. Perché Arpagone alla fine è solo, lo è sempre stato: avaro.
Ma si basta da sé.
PAOLO RICCI
Photo: Filippo venturi e Web[:]