“GOODBYE TOTTI” @PARIOLITHEATRECLUB di Roma.
[:it]REGIA: Marco Castaldi, Josaft Vagni
TESTO: Marco Castaldi, Josafat Vagni, Filippo Santaniello
CON: Josafat Vagni
AMICHEVOLE PARTECIPAZIONE IN VIDEO DI: Luca Vecchi
SCENE: Roberto Giusini
COSTUMI: Noemi Intino
AIUTO REGIA: Olga Shapoval
Realizzato all’interno della rassegna TEATRO INDIE, curata da ALESSANDRO BARDANI e FRANCESCO MONTANARI al PARIOLI THEATRE CLUB
Gli spettatori si accalcano alla biglietteria facendo la fila come si fa ai tornelli dello stadio. Rispetto il mio turno, supero la selezione all’entrata del foyer e vengo accompagnato all’interno dagli addetti come un giornalista sportivo viene accompagnato alla sala stampa: nel mio caso la platea dell’ex TEATRO PARIOLI ora splendidamente rinnovato dal nuovo direttore artistico Nanni Venditti nel PARIOLI THEATRE CLUB (mai come stasera l’assonanza con un club calcistico è più che azzeccata).
E lo spirito è proprio quello, di poter assistere ad un evento unico. Questa singola data dello spettacolo la vivi come se andassi a veder giocare la tua squadra del cuore in un incontro irripetibile. Fai le tue supposizioni, i tuoi pronostici, scommetti sul finale. I “tifosi del teatro” sono già tutti dentro, alcuni posti sono assegnati, altri liberi. Decido di salire in alto e vedere il palcoscenico a “tutto campo”. Sì, esatto, proprio come se fossi in cima alla curva sud per godermi appieno questa “partita”. All’abbassarsi delle luci c’è grande attesa…
Prende la scena silenziosamente ma con padronanza il capitano della serata: GIUSEPPE (Josafat Vagni), 38 anni, in accappatoio e calzini. Noi tutti muti ad attendere una sua parola o un suo gesto, lui muto ci osserva e quello che la parola ruberebbe viene regalato agli occhi. Scopriamo il suo habitat e impariamo a conoscerlo. Vive in un appartamento semplice, quasi scevro, colorato solo da elementi che ci riconducono a quella che potrebbe essere una casa qualsiasi del quartiere di San Lorenzo. Si vede un video citofono scassato, un frigorifero appoggiato da una parte, uno sdentino che occupa perennemente il centro della stanza, un tavolino e una sedia pieghevoli: oggetti inconsistenti che profumano tutto di precarietà. Bottiglie di Peroni vuote sparse qua e là ci riportano a sorsi di birra solitari che occupano il tempo di un uomo che evidentemente cerca di colmare il vuoto di qualcosa che ha perso. Il protagonista oziosamente skippa sul telecomando i canali pomeridiani, mentre un’imperativo vige nell’ambiente: i poster dell’ex capitano della Roma Francesco Totti. Solo una finestra aperta su di un’ipotetica piazza (con tanto di targa dedicata all’ottavo Re di Roma… ) ci fa respirare. Ed è li che il protagonista poi si affaccia, ed è li che ci rivolge le sue prime parole, ed è qui il fischio d’inizio.
Lui è un millennial che mentre si mangia la sua colazione stanca, fatta di indefiniti cerali e latte raffermo, ci parla con sapiente ironia e beffa di una Roma bugiarda e vigliacca, che d’estate è menzogna con le sue strade vuote senza traffico, con il suo bel tempo e la sua vivibilità. Ci sbatte in faccia la sua malia: una depressione tipica di chi non sopporta chi sta bene, parlandoci come chi ha perduto il suo amore. E ci fa sorridere, trattenere il riso in alcuni punti, perché ci parrebbe quasi di disturbare a lasciarsi andare subito, distraendoci ci perderemmo questo delizioso antipasto. Ed è la scelta giusta perché subito dopo il testo ci commuove , il senso ci tocca: assaggiamo il sapore di una rassegnatezza e trasognatezza poetica tipica e unica di alcuni romani.
GIUSEPPE ci racconta il suo percorso di crescita fatto di amore e vita dedicata al giallorosso fin dalla sua infanzia: le figurine dei calciatori come mezzo e scoperta del suo primo amore e primo bacio; le domeniche dai nonni fatte di polpette al ragù violento e tivù catodiche che trasmettevano immagini disturbate dell’avvento di Totti, del suo “debutto”nella “società” calcistica; il passaggio adolescenziale del testimone dagli eroi familiari ai mitologici eroi sportivi, che tutto trascendono, persino l’amicizia; il matrimonio di Totti vissuto come se fosse il proprio; la fine degli studi dove sapere, illuminazione e coscienza si fondono nel calcio in un putpurrì che genera un tema di esami di maturità che è un vero e proprio mix di grottesco e genialità.
Si cresce poi, si deve lavorare, malvolentieri ma non troppo: bisogna pur sopravvivere. Dopotutto anche le più grandi squadre di calcio si piegano spesso alle difficoltà del calciomercato, quindi perché non farlo anche noi? Ma la sfortuna è sempre dietro l’angolo: quella del tifoso è di dover lavorare come commesso la domenica mentre tutti sono allo stadio a vedere la finale di campionato. Ed è così che GIUSEPPE vaga per i gironi infernali di un centro commerciale capeggiato da un diabolico caporeparto Juventino, unico ostacolo verso il cammino per il suo paradiso giallorosso: l’avrà vinta, anche se dovrà “veder le stelle”.
E si va avanti, sempre più avanti, fra alti e bassi: rapporti finiti perché messi al muro, obbligati a scegliere tra l’amore del cuore o l’amore giallorosso; trasferte in Portogallo giocandosi un’eredità familiare; ottavi di finale finiti male, vissuti come l’abbandono dell’amata subito dopo i preamboli, in una sorta di coito interrotto; risse scatenate a suon di sfide e sputi “come avrebbe fatto il capitano”; incursioni a bordo campo travestiti da raccattapalle; memorie di Fantacalcio evocando chi non c’è più, sicuri di averlo solo per se, per poi vederlo volare via in mano e in cuore ad altri… il tutto raccontato da un personaggio che con lacrime e gioia, sorriso e rabbia, dolore e godimento trapassa il cuore dei romani e ancora di più, di tutti i tifosi di ogni stemma. Ricordando i bei tempi andati e cadendo in depressione, non riuscendo a colmare il vuoto, mentre il tuo migliore amico, con cui hai diviso tutto, ti citofona di continuo per riportarti fuori, piuttosto inutilmente, ma con simpatica e pazzesca goliardia.
Lo spettacolo è toccante, affascinante e travolgente, con sferzate di comicità e tragedia ben addolcita. Il calcio è un pretesto per descrivere, come tante ce ne sono, una vita. La vita di un uomo, di un fedelissimo, troppo appesa al “fil-jaune-rouge” della sua squadra e del suo capitano. Che assiste attonito e spaventato al cambio di una generazione in cui non si riconosce. Di un quasi quarantenne che realizza che la sua vita è cambiata da quando TOTTI se n’è andato: perché il simbolo di un’epoca non c’è più e suoi tanti capitoli si sono conclusi in un amaro finale. E adesso? Dove andare? Cosa fare? La terra manca sotto i piedi, gli eroi di una volta non ci sono più, il senso delle cose vacilla, le sicurezze come i colori si sbiadiscono…
Josafat Vagni padroneggia la scena con coscienza, sa condurre il dipanarsi della trama con destrezza e non ha paura di lasciarsi andare alla commozione quando serve o risollevare il tutto nella gioia e nel riso, senza tecnicismi, solo con vera e partecipata emozione.
La regia elaborata in coppia tra Marco Castaldi e lo stesso Vagni, e con l’aiuto di Olga Shapoval, è ottimamente ritmata, non ha buchi di costruzione, originale nella struttura al punto di offrire tutti i sostegni e puntelli di cui ha bisogno lo spettatore per sentirsi appieno parte dello spettacolo: grazie ad essa siamo tutti GIUSEPPE.
Il testo creato dal trio Vagni/Castaldi e Filippo Santaniello è a tratti geniale, dissacrante, divertente, ma soprattutto insolito e non scontato. E quando è ovvio è atteso e ben assaporato: un menù sapientemente preparato.
Scene (Roberto Giusini) e costumi (Noemi Intino) ci mostrano che con poco ma bene si può ritrarre fedelmente i gusti e le abitudini di situazione e personaggio. La bravura è nel dettaglio.
Gli effetti speciali sono essenziali e misurati, le videoproiezioni ci permettono di ricordare al meglio e con maggior commozione la “golden age” del PUPONE e i divertenti siparietti di Luca Vecchi (THE PILLS) che si è generosamente prestato in voce e immagine, interagendo in video con protagonista e trama.
Poter vedere tutto questo è stata una gioia, un divertimento e, da adesso, un ricordo che posso dire di poter raccontare un giorno, a chi non c’era, con lo stesso entusiasmo di un match irripetibile. Goal!
PAOLO RICCI