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[:it]AMAZZONIA: UN GRIDO DI AIUTO PER IL PIANETA @TEATRO AMBRA ALLA GARBATELLA[:]

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E’ in scena, presso il Teatro Ambra alla Garbatella di Roma, dal 27 al 29 Aprile lo spettacolo “Amazzonia: un grido di aiuto per il pianeta.”

Mi avvio in sala per vedere lo spettacolo, consegno il mio biglietto per il controllo e già qualcosa si percepisce, un fumo leggero, una piccola nebbia che più avanti mi attende. Come entrare in una fitta, umida vegetazione.

Occhi e mani mi accolgono, occhi curiosi e indagatori, mani timorose ma audaci allo stesso tempo mi sfiorano leggermente il cappotto, i capelli, osservano il mio ombrello.

Sono gli attori. Gli attori trasformati in indios, sparsi fra palco e platea che accolgono il pubblico come si accoglie una novità interessante, creando un coinvolgimento empatico e fisico con lo spettatore apprezzabile: siamo già così dentro lo spettacolo.

Questi giovani si muovo saltando da un posto all’altro della platea, da uno schienale all’altro, presenti ma non invasivi. Sono curiosi, anche un po’ sfacciati, ma senza cattiveria. Questo toccare e cercare mi porta ad un teatro sensoriale che abbatte le barriere della quarta parete e ti fa vivere lo spettacolo da protagonista.

Nel frattempo sul palcoscenico soffusa luce notturna e rumori di foresta ci avvolgono. Si riesce ad intravedere altre figure appese ed arrampicate sulla scena che volteggiano delicatamente, in modo armonico.

Visualizzazione di 20170427_211159_ridimensionare.jpgTutto questo idillio termina con una rottura forte e nervosa, il rumore di un elicottero che fa correre gli indios sul palco a riunirsi, cercarsi, proteggersi dallo spaventoso sconosciuto.

Inizia qui la fase narrativa, dapprima con racconti introduttivi di folklore locale (un primo accenno alla loro cultura), poi con scene di vita comune che ben rievocano una passata civiltà, primitiva, ma sana.

Seconda rottura, definita da due scienziati/cartografi/narratori che ci illuminano sulla situazione odierna di una terra umiliata, un breve intervento però, che lascia di nuovo lo spazio agli indios, ad un ventaglio colorato e ben coreografato di usi, costumi, danze e riti di vita comune.

Un ventaglio ben fatto, che ci dichiara definitivamente di trovarci in uno spettacolo corale.

Arriva la nostra cultura, arriva il momento in cui indios ed esploratori si incontrano: ed è meraviglia e stupore da entrambe le parti.

Ma i bei sogni durano sempre troppo poco e lasciano spazio alla paura dello sconosciuto, al pregiudizio, al classificare frettolosamente: la nostra cultura si divide per giudicare.

Da un lato la denigrazione dei locali, considerati senza coscienza, bestie, animali.Visualizzazione di 20170427_215338_ridimensionare.jpg

Dall’altra una protezione giusta, in nome della purezza, ma troppo debole a preservare il gioiello.

Viene in soccorso l’ignoranza, la nostra, svelata da altri attori, che dalla platea ancora si mischiano al pubblico e ci “deliziano” di generose chicche di dichiarati luoghi comuni con la voce di una romanità volutamente becera e superficiale.

Tra gli indios nasce così la curiosità, la voglia di capire, lo stupore di aver appreso di non essere soli, di essere una piccola parte di un mondo più grande. Si chiedono cosa accada al di fuori della loro foresta.

E la risposta arriva, “generosa”, la civiltà “moderna” scopre che una forma universale di dialogo si può trovare nella musica, nel progresso rappresentato da un marchingegno strano e affascinante, che fa volare le note della musica lirica tra gli alberi tropicali… ed è incanto, ammirazione: ma anche inganno.

Inizia infatti la razzia, lo stravolgimento, la trasmutazione guidata di noi “civili”.

La snaturatezza che ci contraddistingue sporca, inquina tutto: vite, cultura, memoria e soprattutto ambiente. Accade qui un rito di trasformazione, di trasfigurazione.

La dolcezza indios, corrotta, viene testimoniata attraverso un linguaggio a noi più comune, nazionale, che sa ben comunicare il pathos del grido della sofferenza: la napoletanità.

Canzoni, parole, sensazioni, amore, odio, dolore cantato e parlato, con musica dal vivo.

Una Trasfigurazione popolare che ben ci aiuta a capire le sfaccettature del disagio e che fa addirittura suo il “LAUDATO Sì” di Papa Francesco, rivolgendosi al creatore e negandogli quella lode laddove ha fallato, dove ha permesso a distruzione, dolore e inganno di entrare e fare danni.

Laudato sì, però, concesso per un’unica causa, importante: l’esistenza ancora ferma della speranza, in tutto il creato.

Ce n’è anche per i politicanti, per i corrotti: viene inscenato un teatrino comico e grottesco (ahimè come ben sappiamo superato dalla realtà) che da via alla sua solita farsa… ma qualcosa è cambiato. Noi siamo cambiati.

Non crediamo più a quelle parole, a quelle false promesse e coloro che fino ad adesso avevano fatto da padroni capiscono che la pacchia, la cuccagna è finita. E se ne vanno così, coscienti del cambiamento, della loro occasione persa, inorriditi da ciò che sono diventati.

Da qui in poi tre finali ci regalano emozioni diverse.

Nel primo, di concetto, quel popolo ferito brama e ricerca poeticamente quell’innocenza persa, strappata come la si trappa ad un bambino che apprende la malizia.

Nel secondo, di dialogo col pubblico (eseguito dal regista stesso che si fa anche parte dello spettacolo), quasi comico ma più dell’assurdo: viene rappresentato l’uomo medio e comune, con tutti i suoi difetti, pregi pochi, un uomo che assopito dalle luci del televisore e delle starlette, semplicemente, ha dimenticato come tutto possa essere successo e se ne scusa, ma nemmeno troppo. Ha dimenticato anche come ribellarsi…

Il terzo, coreografico e vocale insieme, vede gli attori denunciare la loro rabbia, la loro protesta e la loro disperazione. Ancora una volta ci invadono altre figure dalle spalle, dal fondo platea per risucchiarci tutti insieme nell’ultimo quadro: le mani tutte rivolte ad un albero distrutto da cui però sta nascendo un nuovo germoglio.

Se c’è speranza, quindi, ci può essere rinascita.

La regia è notevole per lo sforzo di unire tutti i pezzi insieme: più di 30 attori in scena, i vari stili narrativi, i vari linguaggi muti e parlati. Una ricerca concreta di nuovi linguaggi emotivi. Ben coreografata.

Interessanti i movimenti acrobatici che riportano anch’essi ad un nerbo fisico, legato fortemente alla natura. L’impegno di tutti gli attori è funzionalmente corale e armonico. Illuminotecnica ed effetti veramente ben studiati. Scene e costumi d’impatto.

Solo si stia più attenti a non rovinarla, quella dolcezza poetica, con cadute di stile come una dizione troppo sporca dettata dall’inesperienza di alcuni e che arriva ad inquinare il messaggio portandomi via dalla fantasia e trascinandomi di nuovo in poltrona.

Come si deve anche lavorare a rendere più omogeneo l’impasto dove i grumi di differenza tra attori professionisti e nuove leve in alcuni punti si vede e sente troppo.

Cosi come lo stereotipo della danza aggredisce un po’ troppo certi momenti di performance.

Un po’ troppo, per me, voler narrare addirittura tre finali.

Ma quello di stasera è comunque un debutto, se coloro che leggono sanno e conoscono, questo è uno spettacolo complicato da fare, ma che attrae e sicuramente crescerà: Rodando, facendo.

PAOLO RICCI

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Paolo Ricci, nato a Pistoia nel 1972, è un attore e caratterista Italiano; la sua carriera nel mondo dello spettacolo inizia nel 1986 frequentando televisioni, teatri e set. Nel 1998 Paolo Ricci si Diploma come Attore di Prosa alla Scuola di Teatro di Bologna “Alessandra Galante Garrone” e dal 1999 si trasferisce a Roma. Esordisce agli inizi degli anni duemila interpretando ruoli da protagonista e coprotagonista, primario e comprimario nel cinema (major e indipendente), in televisione (anche come presentatore), nel teatro di prosa e per il teatro per ragazzi. Grazie all'intensa carriera cinematografica, partecipa attivamente al cinema indipendente con lungometraggi, cortometraggi e videoclip musicali; impegnandosi anche in pubblicità, documentari, doppiaggio, radio e speakeraggi. E’ attivo anche nella promozione, direzione artistico/organizzativa di eventi, compagnie teatrali, gruppi di lavoro e laboratori con le sue organizzazioni e piattaforme multimediali (Progetto TANGRAM) che offrono una vetrina di visibilità in tutti i campi dello spettacolo sia a figure emergenti come di confermata notorietà; infine l’attore si dedica anche all'insegnamento della recitazione e dell’improvvisazione. http://www.riccipaolo.it/ - https://progettotangram.wordpress.com/
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