Da Scarlatti a Grieg passando per Čajkovskij per celebrare la Festa della Russia
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Lo scorso 9 giugno le porte del Centro Russo per la Scienza e la Cultura, sito nel secentesco Palazzo Pasolini dall’Onda (già Santa Croce), si sono aperte per il concerto del pianista Filipp Subbotin. L’evento, tenutosi nella suggestiva, baroccamente affrescata Sala Grande, si inquadrava nel programma celebrativo del Centro Russo in occasione della Festa della Russia (12 Giugno), festività nazionale corrispondente (e temporalmente assai prossima) al nostro 2 Giugno.
Il programma proposto dal Maestro Subbotin, musicista russo, da suonarsi nel Centro Russo e con motivo della Festa della Russia non poteva ovviamente prescindere dalla musica russa, e nella fattispecie da quella di Pëtr Il’ič Čajkovskij, preceduto da due notturni e due valzer di Chopin e preceduto da 6 pezzi brevi di Edvard Grieg. Da notare però che questo programma, tutto sommato abbastanza salottiero, iniziava con altri brani, sì brevi, ma risalenti a tutt’altro periodo storico (la prima metà del Settecento): quattro sonate di Domenico Scarlatti, corrispondenti ai numeri del catalogo di Kirkpatrick 443, 9, 24 e 380. Sin dalle prime note della prima sonata abbiamo notato ed apprezzato il bel suono, diremmo perlaceo, di Subbotin, che ha eseguito in scioltezza i quattro brani; dal punto di vista prettamente digitale lodiamo la fluidità e la brillantezza mostrate nei passi di note veloci ribattute a mani alternate e di biscrome della terza sonata, in la maggiore; oltre a ciò, a nostro parere il musicista ha ben reso il carattere rapsodico presente in non piccola parte della musica di Scarlatti figlio.
Dal barocco siamo quindi passati al romanticismo, nella sua declinazione chopiniana: del compositore polacco Subbotin ha eseguito dapprima il languido Lento con gran espressione in do diesis minore ed il Notturno in fa maggiore Op. 15 n. 1, e quindi i valzer in la bemolle maggiore Op. 69 n.1 ed Op. 64 n. 2 in do diesis minore. Subbotin è capace di grande cantabilità, ed la sua esecuzione di questi quattro brani era disseminata di gemme di bellezza di suono e di fraseggio, con un gusto particolare nel far sciogliere nella bellezza della melodia la tensione espressa dall’armonia che le sta sotto. Abbiamo, inoltre, notato due cose che desideriamo menzionare. La prima è una singolare abitudine dell’artista russo, di cui già ci eravamo resi conto con le sonate di Scarlatti e confermata in Chopin (e poi nel resto del concerto): Subbotin tende ad eseguire le varie composizioni senza soluzione di continuità o quasi, anche quando queste siano in tonalità distanti. Per spiegare la seconda ricorriamo al concetto di “scuola russa”. Scuola di rinomata fama, essa, come tutti le categorie del pensiero musicale ed artistico in genere, contiene al suo interno parecchi elementi, filoni e correnti. Senza addentrarci in una disamina storico-interpretativa che sarebbe fuori luogo in questa sede, è vero che taluni notano (o rimproverano, secondo i punti di vista) una tendenza a calcare l’aspetto virtuosistico nell’esecuzione di certe musiche, che, in soldoni, si traduce nello staccare tempi particolarmente rapidi, anche se in contraddizione con lo spirito generale di una composizione. Ed ecco dunque l’agitata, tumultuosa sezione centrale del lirico, belliniano Notturno in fa maggiore – suonato ad una velocità maggiore rispetto a quanto di solito si senta – divenire quasi uno studio da affiancare a quelli delle due raccolte Op. 10 e 25 dello stesso Chopin; e se questa estremizzazione dei contrasti ha nell’Op. 15 n. 1, a nostro avviso, una sua logica e validità interpretativa, diversamente accade per la sezione Più mosso del valzer in do diesis minore, suonata come un “Assai più mosso” che, al momento della ripresa della stessa sezione per la chiusa del valzer ignora la rarefazione della tessitura (sottolineata nel testo dalla forcella di diminuendo di Chopin; giusto e solamente come termine di riferimento, si pensi alle incisioni di Arthur Rubinstein dello stesso valzer) e la trasforma in una stretta virtuosistica di notevole effetto sul pubblico, ma che lascia perplesso chi scrive.
La seconda parte del concerto si è aperta con un adattamento per pianoforte (opera del pianista russo M. Pletnёv) della Danza della Fata Confetto dal celeberrimo Schiaccianoci di Čajkovskij, a cui hanno fatto seguito la Danza Russa Op. 40 n. 10 e i brani Marzo, Aprile, Giugno e Dicembre dalla raccolta Le Stagioni Op. 37a, sempre di Čajkovskij. Subbotin ci è parso perfettamente calato nel ruolo per l’esecuzione di questi pezzi, per i quali valgono le stesse positive annotazioni di prima sulla nitidezza e bellezza del suono e sulle doti di cantabilità. E ripetiamo pari pari le stesse lodi per le musiche di Grieg, sei composizioni tratte dalle raccolte di Pezzi Lirici Op. 38, 43, 47 e 54. Sarà stato, forse, sia per via del luogo in cui si teneva il concerto, sia per la festività a cui era ispirato, che l’ultimo brano previsto dal programma sia stato la famosa Marcia degli Gnomi: mai come in questa occasione Grieg, norvegese, si avvicina a quello che molti ascoltatori recepirebbero senza difficoltà come “carattere russo” della musica. E quindi il pubblico, in buona parte composto da connazionali del pianista, ha accolto con entusiasmo la sua valida esecuzione. Per non abbandonare subito un pubblico evidentemente desideroso di ascoltare ancora, Subbotin si è seduto di nuovo allo strumento per un bis, il famosissimo rondò Alla turca della Sonata in la maggiore K331 di Mozart. Non possiamo tacere che in questo bis si è ripresentata la questione di cui abbiamo scritto sopra in merito al valzer chopiniano: non più Allegretto alla turca come scrive Mozart, bensì… “Presto a più non posso”, dove poco è rimaneva della visione tardo settecentesca dell’esotismo ottomano, scalciata, secondo noi, da una corsa forsennata che (alla fine quasi buffamente) ci ha ricordato il tempestoso finale (Presto agitato) della Sonata Op. 27 n. 2 di Beethoven, ma qua in un contesto assolutamente fuori luogo. Il pubblico, tuttavia, lontano da tali considerazioni, ha decisamente gradito e fragorosamente applaudito il pianista.
In conclusione, a parte i punti per i quali abbiamo espresso le nostre riserve, Filipp Subbotin ci è sembrato essere un ottimo musicista, dotato di gran bel suono e senso del fraseggio. Speriamo, quindi, di avere altre occasioni di ascoltarlo qui a Roma con un programma meno salottiero e più sostanzioso.
Marco Parigi
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