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Dalle mani di Péter Kiss le note di Haydn, Chopin e Bartok per l’Accademia d’Ungheria

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Lo scorso giovedì 15 giugno ci siamo recati in uno degli angoli più suggestivi del centro di Roma, via Giulia, ospiti della prestigiosa Accademia d’Ungheria che ha aperto i suoi battenti per una serata all’insegna dell’arte, o meglio delle arti, dato che, contemporaneamente al concerto qui recensito, nella stessa sera sono state inaugurate due mostre pittoriche, intitolate Attratti dalle tradizioni. Opere dei pittori della Subcarpazia e Generazioni. Opere della famiglia artistica Szunyoghy, aperta sino al prossimo 23 luglio.

Come forse a più d’uno sarà noto, l’Istituto Balassi/Accademia d’Ungheria ha casa presso il magnifico Palazzo Falconieri, proprietà dello Stato Ungherese poiché (e forse questo sarà meno noto) dall’Ungheria acquistato negli anni Venti del XX Secolo. Fra i vari scopi dell’Istituto rientrano la diffusione della lingua e della ungherese (vengono organizzati corsi di lingua ungherese) e la promozione delle cultura magiara, nonché degli artisti di questa terra, tra i quali rientra il nostro Péter Kiss, che si è esibito nella Sala Liszt dell’Accademia.

Il programma comprendeva musiche di Haydn, Chopin, Bartók e Debussy. Del compositore austriaco Kiss ha proposto l’ultima sonata, in mi bemolle maggiore (Hob. XVI:52), composta durante il secondo soggiorno londinese di Haydn (1794-95). Generalmente considerata la più impegnativa delle sonate haydniane, forse anche perché creata sulla scia delle impressioni che il compositore ricevette dagli strumenti presenti a Londra, i potenti fortepiani del costruttore Broadwood, e dalle esibizioni di compositori-virtuosi quali Clementi e Dussek. All’insegna della ricca sonorità (là dove serve, ovviamente) è stata l’esecuzione del pianista, quasi virtuosistica in alcuni rapidissimi passaggi del Presto finale e contemporaneamente pervasa da quel clima di giocosità così tipico di molta musica di Haydn. Di Chopin, invece, Kiss ha proposto tre valzer, in mi bemolle maggiore Op. 18, in la bemolle maggiore Op. 69 n. 1 ed in mi minore Op. postuma. Ineccepibile l’interpretazione di Kiss, anche se noi avremmo preferito un tempo leggermente più moderato per l’Op. 18, rispetto a quello scelto da Kiss. Toccante, invece, la sua resa della mesta Mazurka in la minore Op. 17 n. 4, dove egli ha saputo far librare la cantabilità elegiaca di questo bellissimo brano di Chopin (eseguito fra il terzo ed il quarto valzer) cogliendone e sottolineandone le caleidoscopiche inflessioni armoniche.

Dopo il polacco Chopin, l’ungherese Bartók ha finalmente rappresentato il giusto tributo del pianista magiaro all’istituzione, sempre ungherese per l’appunto, presso la quale si teneva il concerto. Di Bartók Kiss ha eseguito Tre canti popolari della regione di Csik, le Danze popolari rumene ed una delle sue più note composizioni, l’Allegro Barbaro Op. 14. Le prime due raccolte proposte hanno ricordato al pubblico degli interessi etnomusicologici, da vero e proprio ricercatore, di Bartók; interesse che poi trovava ampi risvolti nella sua attività di compositore. L’Allegro Barbaro mostra invece di Bartók l’aspetto più selvaggio per via dello sfruttamento percussivo dello strumento, e l’interpretazione di Kiss ci è sembrata assolutamente convincente, come anche abbiamo percepito dagli umori di sala. Ripetiamo le stesse parole per l’Isle Joyeuse di Debussy, brano con il quale si è concluso il programma (seguito, come bis, da uno degli arrangiamenti per pianoforte fatti da Liszt dei Canti polacchi Op. 74 di Chopin). In particolare, permetteteci di lodare l’eccellente realizzazione con effetto di crescendo dei trilli iniziali del brano del compositore francese, che ha chiuso in bellezza questo piacevole concerto.

di Marco Parigi

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