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Intervista @ALESSANDRO BENVENUTI

[:it]Con l’occasione della recensione allo spettacolo “L’AVARO” di Molière (regia di UGO CHITI, andate a vedere la nostra RECENSIONE cliccando qui) ho avuto la possibilità di intervistare il protagonista ALESSANDRO BENVENUTI. Un intenso viaggio attraverso la sua vita e la sua carriera fino ad oggi. Iniziamo.

Sei nato con i GIANCATTIVI, nel 1971, con il cabaret. Ma quali sono le differenze tra il cabaret negli anni ‘70 e oggi?

Sono molto semplici. All’epoca si potevano raccontare delle storie e quindi fare dei mini atti unici, uno sketch era un atto unico breve, un cortometraggio teatrale. C’era una struttura simile al teatro, a quello che è lo sviluppo dei personaggi a teatro. Oggi c’è l’immediatezza di trovare un personaggio che dica qualunque cosa, tormentoni o tipologie particolari senza raccontare una storia. Mi pare che oggi sia più un flusso di coscienza, se vogliamo tenere un termine alto, oppure un racconto di una quotidianità fatta non di storie ma di situazioni, piuttosto che i famosi SKETCH, che dai grandi comici furono anche riportati al cinema. Basta ricordare lo scompartimento del treno di TOTÒ con l’onorevole Trombetta, avanspettacolo che poteva tranquillamente entrare nel cinema, perché era già strutturato. Oggi i comici che si affacciano al cinema, di ZELIG, COLORADO o altre trasmissioni, sono tutti comici che vincono in quanto personaggi, raccontano sé stessi, raccontano una realtà, ma senza la struttura teatrale. E oggi non ci sono trasmissioni televisive che ti consentono di raccontare una storia, nessuna televisione te lo consentirebbe, a meno che tu non vada a SAN REMO, tu non sia già uno consolidato, istituzionalizzato, per cui ti lasciano anche un quarto d’ora. Poi ci sono delle eccezioni, ma è nella struttura che è cambiata la cosa.

Sempre sui GIANCATTIVI: di NUTI e CENCI ne sappiamo molto e ti hanno chiesto molto, io non voglio. Voglio invece che mi parli degli “altri” GIANCATTIVI: PAOLO NATIVI, FRANCO DI FRANCESCANTONIO, ANTONIO CATALLANO e DANIELE TRAMBUSTI.

I Giancattivi

PAOLO è stato il grande iniziatore, quello che dato addirittura il nome ai GIANCATTIVI, si chiamava NATIVI che veniva dal latino, IAM CAPTIVUS, schiavi liberati, per cui è quello che insieme ad ATHINA CENCI e a me ha proprio, pensato, formato il gruppo. È stato un personaggio incredibile nel suo modo d’essere, un PIERROT LUNAIRE, uno che si vestiva da PIERROT con la faccia truccata di biacca bianca e gli occhi pittati di nero, molto coraggioso. Era stato “fulminato sulla via di damasco” da JEAN LOUIS BARRAULT. Aveva visto il film francese LES ENFANTS DU PARADIS e da quel momento si era innamorato di quella maschera. Era un mimo bravissimo, Senese, della Contrada del Bruco. Con lui abbiamo vissuto il periodo eroico degli inizi. FRANCO DI FRANCESCANTONIO è stato di gran lunga il più grande attore che abbia lavorato con noi. Aveva capacità mimiche, vocali, di recitazione veramente grandi. Con lui i GIANCATTIVI, sotto il profilo della perfezione tecnica, di più non sono mai riusciti a fare. ANTONIO CATALANO è stato il più anarchico di tutti, che ricordo con una sorta di grande nostalgia, perché era una sorta di un mimo ma anche un pazzo scatenato, una persona di una grandissima sensibilità e simpatia. È stato quello che è stato con noi meno tempo ed è quello che coerentemente con il suo percorso artistico quando fummo chiamati da RAI UNO decise di uscire dal gruppo e di non fare televisione perché la televisione non gli interessava. Oggi lui è un’artista che espone le sue opere di scultura sensibile, fa cose molto particolari in tutto il mondo. Dopo FRANCESCO NUTI, DANIELE TRAMBUSTI è stato l’ultimo. È stato un mio grande amico, una persona al quale io ho voluto molto bene, come a tutti gli altri, però per DANIELE ho un debole. Tra i comici toscani, fiorentini degli albori degli anni ’70 lui, che era nel GRUPPO COLLETTIVO VICTOR JARA, era quello che mi piaceva di più. Perché aveva questa stralunatezza, questa lunarità. È una persona, un comico che a tutta persona giudico, almeno per l’epoca, uno di quelli che mi faceva più ridere. Un personaggio stravagante, un personaggio molto singolare, un po’ una testa matta, però un grande talento. Soprattutto con lui io mi sono fatto delle risate folli perché era quello che per compatibilità caratteriale forse si sposava meglio a me.

Nella tua carriera quali sono state altre collaborazioni artistiche che ti hanno cambiato la vita?

Il primo di tutti è stato MAURIZIO VIANI, è stato il datore luci di tutti i miei spettacoli, finché non ci ha lasciati prematuramente. MAURIZIO è stato quello che ha creato con me e per me i GORI, l’idea di fare scenografie di luce. Credo che sia stato il mio più grande collaboratore, lo rimpiango tantissimo, non ho più trovato nessuno della sua sensibilità. Lavoro con datori luci molto bravi ma lui è stato un vero poeta della luce, a mio parere uno dei numeri uno in Italia per un certo periodo. Faceva il teatro in una certa maniera per cui io non ho mai detto il MIO teatro ma sempre il NOSTRO. Per secondo PATRIZIO FARISELLI, musicista, tastierista degli AREA, che è quello che ha musicato quasi tutti i miei film e tantissimi spettacoli di teatro. GIUSEPPE “BEPPE” PELLICCIARI che è stato il mio primo fonico, è stato quello che mi ha convinto a fare questo mestiere, avendo fatto con lui il militare assieme. Quindi BEPPE è stato per me importantissimo da quel punto di vista. Questi sono quelli storici, quelli che io naturalmente ricordo con maggior affetto, sono quelli a cui sono più legato perché la mia infanzia artistica è nata con loro e grazie a loro. In futuro potrò trovare delle persone anche più brave ma è impossibile che io possa trovare qualcuno che abbia, che potrà mai avere il senso che hanno avuto loro per me. A questi aggiungerei ATHINA CENCI, che nonostante appunto la si classifichi nella categoria attori è stata la mia prima musa ispiratrice e la persona che mi ha praticamente costretto a imparare a scrivere. Lei non era un’autrice ma una che sapeva leggere e tagliare molto bene. Anche lei per me è stata fondamentale.

Il salto da davanti a dietro la telecamera: come nasce BENVENUTI regista cinematografico?

La Locandina

Per caso! Perché io avevo scritto questo primo film che era appunto AD OVEST DI PAPERINO. Abbiamo tentato in mille modi di trovare un regista che capisse lo spirito dell’opera. Non c’era nessuno che lo potesse fare per cui la nostra agente cinematografica di allora mi disse: “Ma perché non lo fai te il regista, visto che quando lo racconti, il film, lo racconti come se tu lo vedessi al cinema?”. E a quel punto capii che potevo farcela. Mi misero ovviamente intorno delle persone molto esperte che mi aiutassero e io fui molto bravo ad imparare da loro. Ma avevo le idee già molto chiare, anche se non avevo mai fatto cinema: non avevo neanche mai fatto tante fotografie, non avevo nemmeno una macchina fotografica di mia proprietà. Forse è stato l’amore per il cinema visto e soprattutto per i fumetti, senza che io lo sapessi, che in qualche modo mi avevano dato il bagaglio necessario per fare un debutto più che decente.

Com’erano il la televisione e il cinema quando li hai scoperti agli inizi? E come sono diventati adesso?

Agli inizi c’erano meno canali. Per cui quando siamo andati a RAI UNO, eravamo lì perché ce lo meritavamo. C’era stata una sorta di selezione naturale, RAI UNO aveva preso i comici migliori e noi, per giudizio d’altri, evidentemente eravamo tra i comici migliori dell’epoca. Adesso c’è una richiesta talmente grossa di comicità che le frontiere giustamente si sono allargate a tanta altra gente. La differenza credo che sia fondamentalmente nella ristretta quantità di persone. All’epoca se entravi in televisione era perché veramente eri un numero uno di già, nella vita artistica. Adesso invece c’è bisogno di tanta gente che faccia ridere, per cui non è un caso che si facciano dei reality o comunque delle trasmissioni dove si vanno a cercare nuovi talenti perché “mamma televisione” ha bisogno di tanti figli da cui allattarsi: i figli si fanno allattare da mamma televisione ma è anche vero che mamma televisione ha bisogno di succhiare tante energie dagli altri. I canali si sono espansi in maniera esponenziale. Oggi vige di più la quantità, e quando c’è la quantità la qualità c’è sempre ma è minore. Per quanto riguarda il cinema noi ci siamo entrati perché eravamo diventati famosi in televisione. Quindi MASSIMO TROISI, CARLO VERDONE, i GIANCATTIVI, i GATTI DI VICOLO MIRACOLI, siamo entrati in televisione proprio perché c’era la scoperta di una nuova comicità. Quelli di mezzo erano decisamente inferiori rispetto ai grandi maestri. Non erano certamente all’altezza di ALBERTO SORDI, di TOTÒ, di NINO MANFREDI, di UGO TOGNAZZI.

I Nuovi Comici

Abbiamo avuto il compito di rinnovare in qualche modo una categoria artistica che si allontanava. Non è un caso che tutta quella categoria di mezzo di comici non abbia espresso molto da un punto di vista artistico, mentre quelli che all’epoca vennero definiti come “nuovi comici” hanno avuto delle fortune, hanno avuto anche dei riconoscimenti e la capacità in qualche modo di rinnovare la comicità italiana. Eravamo i nipoti, non i figli, i figli sono stati schiacciati dai padri, i nipoti invece avevano vita nuova.

 

Le radici sono importanti. la toscana per te: ma quando sono un veicolo per i tuoi messaggi e quando un pretesto per dire qualcosa?

Chi è di Scena

Io utilizzo la lingua a seconda delle storie e dei sentimenti che ho da raccontare. Non è un caso che noi GIANCATTIVI abbiamo fatto successo in lingua italiana e che abbiam cominciato a parlare toscano solo quando FRANCESCO NUTI è entrato con noi. FRANCESCO non era credibile in lingua italiana, si depotenziava completamente e quindi io da autore ho detto: “ok è arrivato il momento di scrivere in toscano”. Perché per sfruttare al cento per cento le qualità di uno come lui come terzo (e FRANCESCO ce ne aveva tante!), bisognava parlar toscano. E da un lato è stata anche una fortuna: perché ci ha aiutato ad avere successo anche più immediatamente. Noi eravamo già un gruppo di riferimento molto prima che FRANCESCO entrasse a livello nazionale, sempre nei circuiti alternativi per l’amor del cielo, non al grande pubblico e non eravamo connotati come toscani. Io utilizzo la lingua toscana quando mi serve per il discorso che faccio, dipende molto dalla storia che vuoi raccontare se utilizzarla o meno: i GORI non li potrei certamente fare in italiano mentre nell’ultimo lavoro al quale io sono legatissimo, che è CHI È DI SCENA, non parlo toscano. Io non sono un comico toscano, sono il meno toscano dei comici toscani, o se vuoi in qualche modo sono il più italiano dei comici toscani. Adoro la nostra lingua e me ne servo quando la storia lo richiede ma non voglio essere connotato solo in quel modo lì. È limitante. Io ho uno studio da fare, ho una carriera da portare avanti e in questa carriera è previsto che io mi esprima sia in toscano che in italiano.

Nei tuoi lavori a teatro e al cinema hai attraversato moltissimi temi. la famiglia, la sessualità, la politica, il disagio: spaziare così tanto da un argomento a un altro quanto è determinante?

Sono gli interessi che hai. In questo momento sono un po’ avulso da tutto quello che è il tema politico, mi rendo conto di essere un po’ fuori anche dalle tematiche sociali. Sto cercando degli esperimenti, delle cose, anche per quello sono un po’ all’esterno. Sono i bisogni che ti spingono a trovare gli stimoli per raccontare una storia. In questo momento sono molto introiettato dentro di me. Certo, se dovessi essere utile per qualche campagna o qualche tema sociale lo farei molto volentieri. Ma dipende da quello che vuoi dire, dipende da quelli che sono i tuoi bisogni. Adesso per esempio io faccio L’AVARO di MOLIÈRE dove non c’è niente di sociale, però dentro c’è una storia da raccontare e c’è soprattutto, da parte mia, un capire che cosa sto facendo, perché lo sto facendo. Non è che io tutte le sere faccio una replica e dico “ok va bene, fatta un’altra”: in ogni replica ci sono dei misteri, ci sono delle ragioni che ti escono fuori, tu devi capire, devi analizzare. Il nostro è un lavoro di crescita e di autoanalisi continuo. Per cui quando io ho parlato di transessualità in BELLE AL BAR l’ho fatto semplicemente perché ritenevo di essere un comico che lo poteva fare: mi potevo tranquillamente innamorare di mio cugino e non avrei tradito le aspettative di nessun pubblico, perché io non mi sono mai fatto ingabbiare dalle aspettative del pubblico. Racconto storie sperando che al pubblico piacciano, però non faccio quello che piace al pubblico, faccio quello che piace a me, sperando che poi piaccia anche a lui. È un discorso di ricerca continua il nostro e gli argomenti li ritrovi a seconda dei bisogni che tu hai. Poi molte volte questi bisogni si sposano ai bisogni della gente, ma non me lo pongo in questo termine il problema.

I tuoi maestri di teatro, cinema e vita: indiretti e diretti. Chi ti ha inspirato da lontano e chi ti ha insegnato da vicino? In Italia e all’estero? Le piacevoli, sorprendenti, scoperte artistiche. Quali attraverso la tua carriera ti hanno stimolato e rivoluzionato nei gusti e nell’estro? Sia come attore che come regista.

Alfred Hitchcock

Da vicino tutti quelli che incontro, perché in ogni persona c’è sempre un insegnamento da trarre. Ma è la vita di tutti i giorni che ti insegna: i tuoi colleghi, le persone che non conosci, le persone che tu vedi per strada, un po’ tutti. Per quanto riguarda i miei insegnanti di teatro: più che insegnanti certi spettacoli. L’insegnamento è una roba che non viene soltanto dai libri: viene dalla tua curiosità. Più sei aperto e più impari da qualunque cosa e da qualunque persona. Tu vedi LA CLASSE MORTA di TADEUSZ KANTOR e rimani incantato e dici “un giorno la voglio fare anche io”. Ho visto il CIONI MARIO di GASPARE FU GIULIA fatto da ROBERTO BENIGNI e ho fatto BENVENUTI IN CASA GORI, RITORNO A CASA GORI e ADDIO GORI, perché sono stato stimolato da una tenzone con uno bravissimo che ha fatto il capolavoro della sua vita (a mio parere mai più ripetuto) e che a me mi ha acceso la fantasia, la sfida. Vedi LA NOSTRA SIGNORA DEI TURCHI di CARMELO BENE a teatro e tu dici “un giorno lo vorrei fare anche io” (…poi se tu ce la faccia o meno è un altro discorso). Ma mi hanno colpito anche tutti quelli sconosciuti o meno conosciuti che ho visto a teatro e mi hanno stimolato dei pensieri. In cinema vedi FANNY E ALEXANDER di INGMAR BERGMAN e tu dici “porca miseria: quanto mi garberebbe anche a me fare FANNY E ALEXANDER!”. Ma anche STANLIO & OLLIO! Io ho cominciato a raccontare storie perché mi intrigavano i film di STANLIO & OLLIO. E poi TOTÒ, PIETRO GERMI, CHARLIE CHAPLIN, BUSTER KEATON, WOODY ALLEN, un po’ tutti i grandi. Quelli che in qualche modo ti aprono la testa, ti fanno divertire. Ma non c’è uno che ti insegna più di un altro. Certo… vedere la lezione sensata dell’uso della macchina da presa di ALFRED HITCHCOCK e cercare, tentare di carpirlo e magari qualche volta riuscirci, ti aiuta a fare dei film migliori, più sensati. Sono tanti gli stimoli che ti vengono dai capolavori, come se tu vedi una scultura di MICHELANGELO o vai a Napoli e ti guardi per l’ennesima volta il CRISTO VELATO: ti vengono dei momenti di gioia tale per cui ti si accende la vita dentro di te e tu, non puoi certo tentare di fare una scultura, ma puoi tentare di fare un piccolo capolavoro scrivendo uno spettacolo, per dire. È la grandezza degli altri che rende dannatamente bello questo nostro mestiere. Gli stimoli vengono da quello: vengono dal bello.

Sappiamo che sei nato prima come musicista: ma la musica quanto è davvero importante per te, quanta ne usi nel tuo linguaggio artistico? E soprattutto quanta nella vita?

Zio B.

Nella vita purtroppo poca perché non ho tempo. Nel linguaggio artistico tutta, tutta musica. Per me l’AVARO è musica, la mia musica, quella che recito io. Qualunque scrittura è musica, tutti i miei spettacoli sono musica, pentagramma. Perché io non credo nell’improvvisazione, se non quando serve necessariamente, ma credo nella partitura perfetta. Io, come scrittore, sono un musicista. Perché quando scrivo cerco la musica, cerco l’armonia, la melodia, i ritmi. Quando recito, io recito certi ritmi continuamente. Per me qualunque cosa io faccia in teatro è puro ritmo. Per me BENVENUTI IN CASA GORI, RITORNO A CASA GORI e ADDIO GORI sono delle jam session, sono io che suono tutti gli strumenti. La musica è tutto: è l’arte. Per me è la prima arte. Quella che modifica e rende belle tutte le altre espressioni artistiche. Io sono immerso completamente nella musica. Tanto immerso che, purtroppo, posso fare anche a meno di ascoltarla, perché ce l’ho dentro di me. Certo mi dispiace di non ascoltarla, ma bisognerebbe avere una vita parallela da ascoltatore, mentre con l’altra fai l’Alessandro Benvenuti di tutti i giorni, quello che ha la fortuna di lavorare tanto. Ho pochissimo tempo e mi rilasso più facendo la settimana enigmistica che ascoltando musica. Non so perché abbia questa perversione, ma diciamo che adesso è molto tempo che io la musica la ascolto solo casualmente per radio. Però ti ripeto, io dentro di me la produco di continuo: tutte le volte che si apre un sipario faccio musica. Quindi è decisamente fondamentale, non importante, fondamentale.

Hai altre passioni che non conosciamo?

I fumetti mi piacciono moltissimo, ora ho un po’ smesso di comprare perché non ho più posto in casa. Mi piacciono molto i fumetti, mi piace molto leggere i libri. Poi sono una persona pigra, ho il diritto di essere pigro perché ne faccio talmente tante come lavoratore che, voglio dire, un po’ di pausa non mi fa che bene. La mia passione preferita è questa: è la lettura, il fumetto. Mi rilassano moltissimo, e poi sono belle storie che uno legge, vede, per conoscere le vite degli altri. Qualcuno in particolare? No. Dovrei fare una lista lunga… tutti i grandi, siccome ce ne son tantissimi di grandi, del passato e del presente, per cui lasciamo perdere.

Cosa pensi del mondo digitale, delle realtà come Netflix, Youtube, delle Web Series, della tecnologia con smartphone e tablet? Della multimedialità e di come sta cambiando la vita di tutti gli artisti?

Ne penso bene. La mia vita cambia relativamente poco perché comunque appartengo ad una generazione passata che si occupa principalmente di linguaggi tradizionali. Anche se come produttore sono stato tra i primi a essere presente su internet, ad avere un sito interattivo, a fare romanzi a più mani. Abbiamo avuto addirittura delle recensioni a livello europeo quando abbiamo aperto la sezione internet della mia produzione. Adesso io lo guardo con simpatia, con interesse e anche con molto distacco perché ritengo che ci sia un abuso forsennato, troppi idioti che hanno voce in capitolo, che si permettono di dare giudizi, di esprimere robe, boh! È come dire se i pianerottoli si fossero centuplicati… Dare voce alla stupidità della gente è una cosa terribile perché è peggio di un virus, è peggio di ebola. È una roba che contamina anime, cuori, cervelli. L’aspetto bello è che conosci un sacco di gente nuova che ha dei talenti incredibili. Come in tutte le cose della vita: non è tanto il discorso che esista un linguaggio nuovo, ma è come tu parli. Se sei cretino e vai su internet molta più gente capirà che tu sei un cretino. Se invece non vai su internet che sei un cretino lo sapranno solo le persone intorno a te e faranno di tutto per evitarti. Non c’è da demonizzare nulla: è un meraviglioso sistema di comunicazione però dipende da chi ci comunica. Se sei intelligente bene, se tu sei uno scemo EHEH!, “ma statte zitto ‘nzomma”. Però soprattutto gli scemi parlano…

L’incontro e sodalizio artistico con UGO CHITI: com’è nato e com’è prosperato?

Bello! È nato che eravamo operatori culturali negli anni ’70, Io lavoravo nel comico, lui lavorava nel drammatico o nella commedia occupandosi di dare forza e coraggio e dignità al linguaggio toscano che era finito nel becerume del teatro dialettale, dove per altro c’erano dei grandi interpreti, ma i testi erano terribili. Ugo ha avuto tutta la mia stima perché è stato, in toscana, uno tra i più importanti operatori che hanno rinnovato e rinvigorito il linguaggio toscano esportandolo in tutto il territorio nazionale. Credo che UGO sia il più grande autore vivente in lingua toscana. È un rapporto di sangue, una fratellanza totale. Per me lui è un maestro, è un amico, è un fratello di sangue, è una persona con la quale ho dei rapporti belli, pur conflittuali ma molto sinceri, di assoluto rispetto e di stima, con tante cose sulle quali io non sono d’accordo, però si discute tra persone che si vogliono bene e che si confrontano. Quindi per me è stata una presenza importantissima e anche un motivo anche di innamoramento verso la lingua toscana. Ho solo che da dirgli grazie.

Questo AVARO di MOLIÈRE con il quale sei in scena (al Teatro Parioli fino al 19 novembre, ecco la recensione) con una rivisitazione così moderna e dinamica è un traguardo o un nuovo punto di partenza? Ci sono altri progetti nel calderone tuo o di ARCA AZZURRA TEATRO?

Benvenuti ARPAGONE

No non lo so. Per adesso no. Diciamo che siamo a questo. E comunque è uno scontro di idee anche, perché lo spettacolo è fatto da due anime. C’è una anima moderna che è rappresentata da ARPAGONE che si scontra con l’anima classica che è rappresentata dal resto della compagnia. Perché la scrittura è una meravigliosa scrittura, la regia secondo me ha come dire qualche punto poco chiaro: per cui il fascino di questo spettacolo, che può anche essere il limite di questo spettacolo è che ci sono due linguaggi completamente diversi. C’è un linguaggio tradizionale, una tessitura musicale che è fatta da tutta la compagnia e ARPAGONE che si immette in un tessuto classico come se fosse la moderna finanza, l’atrocità del denaro, i ritmi nevrili che sono tipici dello spostamento dei capitali di oggi. È uno scontro di stili. È come se UGO CHITI fosse rappresentante del classico e ARPAGONE, cioè l’altro autore, che non è un autore che scrive ma è un autore che interpreta, cioè Alessandro Benvenuti, cioè me, che invece immette in questa storia un linguaggio diverso. È diciamo il bello e il limite di questo spettacolo. Essendoci uno scontro di vita è come se ci fossero due poli che si contrappongono ma che producono grande energia. Lo spettacolo, io personalmente, alla settantesima replica lo vedo così: quasi come uno scontro/incontro tra due autori. Uno che ha scritto e uno che interpreta il proprio personaggio. Pensa te… me ne sono accorto ieri che è cosi, ci sono volute settanta repliche per capire quello che secondo me è la cosa più vera di questo spettacolo. Al di là che è uno spettacolo poi, altrettanto vero, che piace tantissimo, che è amatissimo, che ottiene successo ovunque noi si vada. Questa mi pare che sia la cosa più vera che c’è in questo spettacolo. Pensa te… ma l’ho scoperto ieri!

Quali sono i consigli che daresti a quelli che intraprendono adesso la carriera nello spettacolo e quelli che daresti a quelli affermati?

A quelli affermati non do nessun consiglio, perché chi è affermato ormai è andato, per cui mi auguro che “muoia” bene… non voglio parlare di loro, ormai sono così. A parte che tra gli affermati ci sono persone che sono capaci di rinnovarsi, sfaccettare nuove idee: non voglio di fare tutta un’erba un fascio. Ma Preferisco parlare di quelli che si affacciano. Intanto di non dare il didietro o quella cosina davanti, così che non ci siano confessioni tra dieci anni di persone che son state molestate per fare la loro carriera, che è un tasto dolorosissimo in questo momento, estremamente controverso, seppur comprensibile… Poi, per quanto riguarda invece la volontà di intraprendere questa carriera? Di aver proprio la necessità di farlo. Di non farlo perché uno pensa che questo sia un lavoro più facile. Di avere proprio la REALE necessità di farlo, questo mestiere. Il proliferare di tante scuole di teatro e altro, mi sembra più una corsa verso un disperato tentativo di salvarsi con qualcosa. Perché ci sono tantissime persone che si buttano in questo mestiere e lo fanno soltanto per disperazione. E invece bisogna farlo per una scelta consapevole, del fatto che siamo già precari, che vai incontro ad una vita non facile, dove incontrerai delle persone francamente orrende. Ora… non è che in una fabbrica o in un ufficio ci siano degli angeli… Però bisogna volerlo! Io l’unico consiglio che mi sento di dare dopo tanti anni di carriera è: ma lo devi proprio, assolutamente, fare?!  Ma tu senti, veramente, il bisogno di farlo?! Tu, se non lo fai, muori?! Se muori, allora fallo! Se invece sopravvivi pensaci bene prima di fare una scelta… Io credo che l’unico consiglio giusto e intelligente e anche umile, ti dico la verità, sia proprio questo. Fallo se veramente non ne puoi fare a meno. Se non facendolo tu muori.

Un’ultima domanda per concludere questa intervista: il tuo caro amico pubblico ti sta leggendo, vuoi dirgli qualcosa?

Ma che gli voglio dire?! Io mi auguro che tutti godano di ottima salute. Perché l’unico vero dramma, veramente, è quando tu non hai le forze di combattere le difficoltà della vita, che son tante in questo momento: già stroncano. E quindi l’unico augurio che posso dare da persona e non da artista o da attore, da persona veramente, è che tutti quelli che leggano godano di ottima salute per poter affrontare questo difficile mondo!

PAOLO RICCI

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Paolo Ricci, nato a Pistoia nel 1972, è un attore e caratterista Italiano; la sua carriera nel mondo dello spettacolo inizia nel 1986 frequentando televisioni, teatri e set. Nel 1998 Paolo Ricci si Diploma come Attore di Prosa alla Scuola di Teatro di Bologna “Alessandra Galante Garrone” e dal 1999 si trasferisce a Roma. Esordisce agli inizi degli anni duemila interpretando ruoli da protagonista e coprotagonista, primario e comprimario nel cinema (major e indipendente), in televisione (anche come presentatore), nel teatro di prosa e per il teatro per ragazzi. Grazie all'intensa carriera cinematografica, partecipa attivamente al cinema indipendente con lungometraggi, cortometraggi e videoclip musicali; impegnandosi anche in pubblicità, documentari, doppiaggio, radio e speakeraggi. E’ attivo anche nella promozione, direzione artistico/organizzativa di eventi, compagnie teatrali, gruppi di lavoro e laboratori con le sue organizzazioni e piattaforme multimediali (Progetto TANGRAM) che offrono una vetrina di visibilità in tutti i campi dello spettacolo sia a figure emergenti come di confermata notorietà; infine l’attore si dedica anche all'insegnamento della recitazione e dell’improvvisazione. http://www.riccipaolo.it/ - https://progettotangram.wordpress.com/
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