SUL PALCOSCENICO DEL TEATRO VASCELLO, DAL 13 AL 18 OTTOBRE, “GLORY WALL” DI LEONARDO MANZAN, MIGLIOR SPETTACOLO DELLA BIENNALE TEATRO 2020
Leonardo Manzan si è diplomato alla Civica Scuola di Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano e nonostante sia un under 30, ha già al suo attivo numerosi riconoscimenti. E’ vincitore di “In-Box 2018” con la compagnia Bahamut per “It’s app to you”, vincitore dell’edizione 2018/19 della Biennale College Teatro all’interno del Festival Cirano deve morire, liberamente ispirato al Cyrano de Bergerac, spettacolo prodotto dalla Biennale di Venezia e realizzato con il tutoraggio del Direttore Antonio Latella. Con il suo “Glory Wall” ha vinto la Targa per il miglior spettacolo del 48/o Festival Internazionale del Teatro, diretto da Antonio Latella e organizzato dalla Biennale di Venezia. La giuria internazionale, composta da quattro critici e studiosi di teatro (Maggie Rose, corrispondente di Plays International, Susanne Burkhardt, corrispondente di Deutschlandfunk Kultur, Evelyn Coussens, del quotidiano De Morgen, Justo Barranco, del quotidiano La Vanguardia) ha così spiegato i motivi di questa vittoria: “Manzan ha affrontato nel modo più innovativo e radicale il tema del Festival: la censura. Comprendendo che la censura è sempre una questione di potere. In questo caso il potere, o la sua mancanza, nel nostro teatro. Mettendo il pubblico di fronte a un muro bianco, che blocca la vista della scena, Manzan gioca in modo molto intelligente, ironico e divertente con l’idea del censurare sé stessi e gli altri – e con l’importanza diminuita del teatro. Il gioco che imposta con questo muro è radicale, coerente e molto immaginativo dal punto di vista formale, creando immagini e scene che riecheggeranno per molto tempo, interagendo con il pubblico attraverso minuscoli fori. Lo fa con un gioco nel quale è il regista di frammentarie parti del corpo, cioè mani, dita e polsi, che compiono micro-azioni attraverso questi fori. Lo spettacolo porta l’esperimento di Beckett con Not I a un livello superiore..”
Manzan affronta il tema controverso della censura, costringendo lo spettatore alla vista di un muro bianco dal quale non si può guardare oltre, una pesante barriera che divide il pubblico dalla scena, autolimitandosi, autocensurandosi. Il nome dello spettacolo vuole essere una provocazione: “Glory Wall”, un gioco sessuale che utilizza la forma dell’anonimato. La provocazione continua mettendo in scena un muro nel quale vengono praticati dei fori e dai quali escono oggetti e parti del corpo, rimandando all’idea di non essere conosciuti (ri-conosciuti) pubblicamente. Sono coinvolti i grandi censurati della storia: De Sade, Pasolini, Giordano Bruno, testimoni silenziosi e maestri di un pensiero e di un’idea.
La simbologia è quella dei fori nel muro, attraverso i quali escono mani, piedi, oggetti. Escono e creano un’interruzione nell’invalicabilità del muro: è l’arte che esce, irrompe sulla scena, nella vita, scardinando un obbligo di censura, amplificando i canoni dell’immaginazione, costringendoci a guardare ciò che fuori dal Teatro ci sembra banale. E’ Manzan che ci ricorda che “è nell’immaginazione che siamo più vulnerabili e continuamente soggetti alla più sottile e perfetta forma di censura, che è quella che sembra venire da noi stessi. La censura colpisce la realtà ma il suo obiettivo è l’immaginazione. Il suo occhio è rivolto alla cronaca, ma la sua vera ambizione sono le anime.”
Si tratta di uno spettacolo interattivo, nel quale il pubblico è chiamato ad intervenire al dibattito che il regista ha costruito sulla scena, un dibattito visivo, avvincente, fremente e appassionato. La sua è la rappresentazione di come sia implacabile il desiderio della censura di ignorare il teatro, di ridurlo se possibile al silenzio, di asservirlo a una forma blasfema di quello che è il significato vivo della parola “ARTE”.